Virtual C@naro

Elefantentreffen 2000

Primo giorno - Partenza

Mi sveglio e, per prima cosa, esco sul terrazzino a vedere che tempo fa: bello, ma freddo. Porto brevemente a spasso Scylla che in qualche modo ha scoperto che parto per un viaggio in moto perché mi guarda con lo sguardo tipico di quando sto per partire per un viaggio in moto (praticamente uguale a come mia guarda mia madre, solo che Scyl tiene anche le orecchie basse); aggiungo al carico della moto il bagaglio con i miei abiti e mi avvio.
L’appuntamento è alle 8:00 al primo distributore dell’autostrada del sole dopo il casello di Fiano; arrivo con qualche minuto di ritardo e trovo i tre moschettieri al bar a ingozzarsi. Faccio anch’io provvista di calorie, poi ci rivestiamo e si parte per la prima tratta del viaggio. Il percorso che abbiamo deciso di seguire è il seguente: uscire a Orte, imboccare la E45 e proseguire fino a Ravenna; da Ravenna a Venezia faremo la Romea e a Venezia ritorneremo in autostrada, direzione Tarvisio. Passato il confine, in dipendenza del tempo (atmosferico e cronologico), decideremo se proseguire o se fermarci a Villach. All’inizio della E45 sorpassiamo le moto di due amici - Macchia Nera e Chopin - in viaggio verso la nostra stessa mèta, ma con un’altra velocità e, soprattutto, con un’altra autonomia: Chopin ha montato sulla sua Guzzi special un serbatoio da aereomodello radiocomandato e deve fermarsi a fare rifornimento ogni 80 chilometri. Noi gli si vuole bene lo stesso e, proprio per questa ragione, si viaggia separati. Dalle parti di Selci mi accorgo che Slow Hand sta muovendo la testa ritmicamente, sicuramente in preda a un attacco di colonna sonora da viaggio in moto, un fenomeno ben noto ai mototuristi, ma forse sconosciuto ai più, sul quale vale la pena di spendere due parole. Dicesi "colonna sonora da viaggio in moto", il fastidioso insediarsi nella mente del motociclista, non particolarmente impegnata dal monotono trasferimento autostradale, di uno o più ritornelli, perlopiù idioti, di canzoni delle quali si conoscono solo poche strofe che vengono perciò ripetute incessantemente fino a che qualcosa non interviene a distogliere l’attenzione del malcapitato (moto che entra in riserva, acquazzoni, altre moto che sorpassano, esaurimento nervoso ecc.). I più gettonati dal mio subconscio sono, di solito, gli ex-coniugi Carrisi e il peggio della disco-music made in Italy (883 in testa), ma talvolta mi capita anche di intrattenermi con successi d’oltremanica ed’oltreoceano, che integro con strofe di mia ideazione, quasi sempre oscene. Il viaggio prosegue tranquillo fino all’Appennino, dove vediamo la prima neve, fortunatamente ben distante dalla carreggiata. Ho un po’ di freddo ai piedi, ma solo perché mi sono ostinato a indossare gli stivali da moto normali e non gli scarponi da montagna. Comunque la temperatura sta salendo a mano a mano che ci avviciniamo al mezzodì e non vale la pena di smontare tutto il mio bagaglio (gli scarponi sono nelle borse laterali, circondate per sicurezza da una cinghia, che passa sotto alla tenda, che è tenuta ferma al suo posto da un ragnetto) per cambiarsi. Passato l’Appennino facciamo il primo rifornimento e io approfitto della sosta per andare in bagno a darmi una botta di phon alla cervicale, sensibilmente provata dagli spifferi di aria gelida che riescono a penetrare fra i diversi strati di vestimento che mi proteggono dal freddo. Visto che ci sono e che da qui alle Alpi non succede nulla di interessante, ne approfitto per enumerare i miei paludamenti:

Di fatto sto piuttosto bene, ho solo un po’ di freddo al collo che ha solo due strati di copertura. Mi comprerei una sciarpa (uno dei molti difetti del mio casco è che non posso montarci un sottogola), ma quelle che trovo hanno tutte dei nomi di squadre di calcio e non ho così freddo. Il resto dell’E45 passa senza eventi di rilievo e così pure la Romea (ve l’avevo detto..). Il rifornimento successivo lo facciamo alla prima area di servizio della Venezia-Trieste, dove c’è uno dei miei Autogrill preferiti, sicuramente il più pulito che io abbia mai visto, con tanto di docce e sala per massaggi. Qui Max fa una scoperta sensazionale: fra i tanti articoli esposti, c’è un prodigioso apparecchio che - stando a quanto promette la sua pubblicità - permette alle donne di fare la pipì in piedi! Il prezzo non è esorbitante e subito scatta l’acquisto da parte mia e di Slow Hand, come dono per le rispettive compagne, con l’accordo che entrambi soffocheremo la nostra legittima curiosità e non apriremo la scatola prima del ritorno a casa. (Piuttosto, ho chiesto a Slow Hand qual’era la canzone che lo assillava: Banana Boat! nient’altro che tre strofe incomplete per tre ore di viaggio…) Che siamo arrivati ai piedi delle Alpi ce ne accorgiamo solo all’ultimo, quando le vediamo sbucare, bellissime, della foschia del primo pomeriggio. Un paio di tunnel e ci siamo in mezzo, circondati da vaste distese di neve immacolata. Se mai mi fossi chiesto perché ho intrapreso questo viaggio - e me lo sono già chiesto almeno dieci volte da ieri - ora lo so. Adesso se mi ricordassi perché per venire fin qui non ho preso l’auto… Facciamo l’ultimo rifornimento poco prima del confine, in modo da evitare i distributori austriaci e contestualmente acquistiamo anche la targhettina autoadesiva per le autostrade d’oltralpe. Mandiamo gli ultimi saluti via SMS, riceviamo una telefonata da un amico comune, poi ci inerpichiamo fino valico e arriviamo in Austria. La temperatura si è abbassata ed è quasi buio, ma la strada è pulita e decidiamo di andare avanti fino a Rennweg, dove Max e Slow Hand conoscono un albergo a buon mercato e - quel che più conta - con un garage dove lasciare le moto. Arriviamo a Rennweg col buio, usciamo dall’autostrada e subito dobbiamo rallentare perché l’asfalto è maculato da chiazze di neve e ghiaccio. In compenso il traffico è pressocché assente e tutto procede bene finché non arriviamo nelle vicinanza del paese, dal quale ci separa solo una lunga e ripida discesa coperta di un sottile strato di neve. La percorriamo in prima, a distanza di sicurezza l’uno dall’altro, con i piedi che sfiorano il terreno e le dita della mano destra ben lontane dal freno. Arrivati giù, ci tocca pure lo smacco di vedere due ragazzini locali su un motorello da cross che se ne vanno in giro come se niente fosse. L’albergo è tipico: legno e odore di maiale arrosto che ci viene a dare il benvenuto appena entriamo. Portiamo le moto nel garage, poi ci dividiamo nelle rispettive camere (io e Mad Max in una, Slow Hand e il Molesto nell’altra) dove si verificano dei riprovevoli episodi di nonnismo quand’è il momento di decidere chi fa la doccia per primo. A questo proposito, credo di aver capito perchè Mad Max e Slow Hand siano così affezionati all’Elefantentreffen: le doccie. Essendo l’altezza delle doccie in diretta relazione all’altezza media nazionale, in Italia i due suddetti individui sono costretti ad accucciarsi sotto il getto, mentre il Austria e Germania possono trovare delle docce - è il caso di dirlo - alla loro altezza.

Una cena a base di maiale, una birra e un amaro completano degnamente la serata, poi si torna in stanza: un minuto dopo dormiamo.

27-01-2000