Ci svegliamo con comodo (non si può andare in giro presto, c’è rischio di trovare del ghiaccio) e cominciamo bene la giornata con una colazione possente come se ne possono fare solo nelle aree di lingua tedesca. Tanto per non farmi sentire la nostalgia di casa, il cane dell’albergo si piazza a fianco del nostro tavolo e ci fissa con occhi spioventi, in palese attesa di regalìe alimentari. Quando lo omaggio graziosamente di un pezzo di pane nero, mi guarda con l’aria schifata di chi si aspettava ben altro e va a farsi coccolare da un indigeno pochi tavoli più in là. Rifocillati, carichiamo le moto e partiamo alla volta di Salisburgo. È una bella giornata, ma fa freddo e percorriamo con cautela le curve bacìe. Quando, un paio di tunnel più tardi, arriviamo a valle, il sole é coperto dalle nuvole e il freddo aumenta, così facciamo una sosta-té durante la quale ci accordiamo anche sulla strada percorrere fino a Deggendorf. Malgrado un inizio viscido e incerto, la statale per Braunau si dimostra un’ottima scelta: pulita, poco traffico e curvoni larghi fra campi innevati. Guido con calma, lasciando che la mia moto si goda l’aria di casa e intanto noto come la presenza moticiclistica sulla strada vada aumentando, anche se si tratta prevalentemente di austriaci e tedeschi. Passata Braunau, un gruppo di "giapponesi" ci sorpassa con fare provocatorio e noi li lasciamo andare senza opporre resistenza: sappiamo (al contrario dei nostri simpatici amici) che poche centinaia di metri più avanti, c’é un’auto della polizia che - forse intenzionalmente - sta facendo da tappo. Ritroveremo gli smanettoni un paio di curve dopo, tutti buonini, in fila dietro alla pace-car. Rientriamo in autostrada un po’ prima di Passau e proseguiamo fino a Deggendorf dove ci sta aspettando Jumbo, arrivato fresco fresco da Francoforte. Sulla strada per Loh, il gruppo si divide: Slowhand e Die Lëstig (Il Molesto) vanno avanti in cerca di qualche macchina agricola su cui spalmarsi ben bene mentre Mad Max, Jumbo ed io adottiamo una condotta di guida più assennata, anche perchè Max ha ancora poca confidenza con la Yamaha e non si sente sicuro sul viscido (una sfiducia destinata ad aumentare dopo un bel dritto sulla neve ghiacciata, per fortuna senza altre conseguenze che un po’ di strizza). Dell’arrivo al raduno ho un ricordo abbastanza confuso, un po’ per la stanchezza, un po’ per la tensione e un po’ perchè la situazione al nostro arrivo è effettivamente confusa: scendiamo verso l’ingresso del raduno lungo una stradina viscida e già stretta di suo, occupata per metà da una fila ininterrotta di moto parcheggiate. Il resto della carreggiata è pieno di moto che salgono o scendono e persone - motociclisti o famigliole venute a curiosare - che ci preservano da pericolosi cali di attenzione parandocisi di fronte inaspettatamente. Arrivati al piazzale di ingresso, noto con gioia che è in discesa e coperto da uno spesso strato melma nevosa. Ne approfitto, quando finalmente riesco a trovare un buco dove parcheggiare la mia moto, per perdere l’equilibrio (da fermo) e finire per terra. Pagato l’ingresso e indossato l’obbligatorio braccialetto di plastica stile azienda ovicola che funge da passi per l’ingresso al campo, cominciamo il trasbordo delle attrezzature verso la zona che - dopo una rapida perlustrazione - abbiamo deciso di eleggere a nostra dimora. Non ce la sentiamo di scendere con le moto cariche lungo la stradina melmosa che attraversa il campo (scendere sarebbe anche facile, ma poi bisognerebbe risalire…) così portiamo tutto a mano, in più viaggi. Mentre arranco carico di borse e valige nella neve alta capisco come mai un sacco di moto avevano degli slittini legati al posto del passeggero: erronamente avevo pensato che si trattasse di un divertimento, ma qui - lo scopro troppo tardi - è una necessità. Faccio due viaggi, poi, mentre gli altri si occupano del resto dei bagagli, rimango al "campo base" e comincio a spianare il terreno (essendo il raduno locato in una piccola vallata a semicerchio, per poter piantare una tenda, si deve prima pareggiare la neve in modo da ottenere una piazzola anche minimamente orizzontale). Non so dire quanto ci abbia messo a ricavare lo spazio per le nostre due tende, ma quando finisco e vedo intorno a me i camminamenti scavati dai nostri vicini e la bandiera austriaca che sventola poche tende più in là, mi vengono in mente i racconti di mio nonno, alpino nella Grande Guerra. Mentre gli altri piantano le tende, per riposarmi un po’, vado con Jumbo a comprare la legna e di nuovo la mancanza di uno slittino (o, meglio, di una slitta trainata da una muta di cani) si fa sentire. Il punto di vendita delle fascine è in cima al campo, a fianco dell’ingresso. Lo presidia una tribù di unni, che inganna il tempo bevendo birra intorno a un fuoco e ridendo della gente che scivola su un lastrone di ghiaccio lì vicino. Rientriamo alla base con le fascine e accendiamo il fuoco; contestualmente ci ricordiamo di non avere nulla da mangiare. Di andare in paese a comprare qualcosa non se ne parla nemmeno, è già buio e comunque siamo troppo stanchi anche solo per far scendere le moto dal cavalletto, così ci andiamo a sfamare nell’affollato punto di ristoro all’ingresso del campo. Una gulashsuppe, un panino con wurstel e una birra ci mettono in pace col mondo. Ci accorgiamo perfino del fatto che non fa freddo: solo zero gradi. Dopo aver mangiato, passeggiamo un po’ per la strada per Loh con i due veterani del gruppo - Max e Slowhand - che lamentano con una punta di disgusto il progressivo imborghesimento del raduno: quest’anno - orrore! - hanno fatto la loro comparsa perfino le donne!. Torniamo in trincea e mentre Max ravviva il fuoco, Slowhand fruga nei bagagli traendone, con una gioia negli occhi che ricordo di aver visto solo a bambini sotto i dieci anni la notte di Natale, dei fuochi d’artificio modello "Stalingrado". Non faccio nemmeno in tempo a protestare per il fatto che una simile quantità di polvere nera sia stata subdolamente piazzata nel mio bagaglio (peraltro nella stessa valigia che conteneva le due bombole di gas per stufetta e fornello), che mi trovo coinvolto in quella che è una delle attività più in voga al raduno: i fuochi d’artificio. Da quando siamo arrivati è stato un continuo di razzetti semplici e con fischio, ma adesso, con il buio della notte che evidenzia le scie e le esplosioni, si sta passando agli armamenti non convenzionali. In un clima da "Apocalypse Now", piantiamo nella neve il tubo di cartone che farà da mortaio e poi, una dopo l’altra, spariamo in cielo le nostre munizioni, riscuotendo più di un applauso a scena aperta. Chiudiamo la serata con delle bottiglie mignon di liquore portate da Jumbo. Nessuna notizia di Alberto e Chopin.