Il B. nacque ufficialmente nel 1977, anno di pubblicazione del Manifesto Burrealista che, elaborato da C.Azzone (1944-?), codificava le caratteristiche di una nuova forma d’arte presente e attiva nel panorama artistico italiano già da alcuni anni.
Il movimento, che ebbe fra i suoi rappresentanti di maggior spicco, oltre al succitato Azzone, E.Unuco (1951-viv.) e C.Astrato (1945-1979), deve il suo nome al commento fatto da un critico a un’opera dell’Azzone, allora (1976) alla sua prima personale.
Guardando una delle sue sculture, il critico disse: “Curioso, vista da qui, con questa angolazione e questa luce, sembrerebbe fatta di burro.”.
La risposta di Azzone fu tanto categorica quanto irriferibile, dacché la sua materia scultorea preferita era realmente il burro, e per ragioni tutt’altro che casuali.
Il burro, infatti, oltre a essere un materiale tanto facile da modellare quanto da reperire, se non è tenuto al fresco, si scioglie o va a male.
Ritenendo inutile approfondire l’allusività di tale scelta (le sale dei musei, com’è noto, sono sempre iper-riscaldate), passiamo piuttosto ad illustrare la storia della nascita del B.
Nell’ estate del 1975, l’Azzone, solo in casa dopo la partenza della moglie per Rimini, non avendo più nulla da scolpire, prese un massiccio bloccone di burro lasciatogli per provvista dalla previdente consorte nel capace congelatore di casa e in esso scolpì una personalissima versione dell’“Apollo e Daphne”.
Questa prima, casuale opera, fece nascere in lui il desiderio di modificare radicalmente il corso dell’ Arte italiana, pur restando strettamente legato alla migliore tradizione plastica rinascimentale e, volendo scavare un po’ più a fondo, alla stessa monumentalità tardo-romanica.
Nel 1976, poco tempo prima della mostra sopra menzionata, ad Azzone si unì Unuco, che aveva inizialmente tentato di combinare la tradizione neoplastica algerina con le più recenti avanguardie polacche e, successivamente, di combinare il pranzo con la cena, fallendo in entrambi i tentativi[1].
Mentre Azzone si dedicò alla ricerca di sempre nuove forme espressive, Unuco assume il ruolo di teorico del movimento.
È di questo periodo la famosa serie di settantadue sculture dell’Azzone, tutte in burro[2], ma anche l’inizio dell’interesse dello stesso per la pittura dove, al posto dei colori, stende sulla tela qualità di burro differenti, in escalation tonali che pur restando indissolubilmente legate alle caratteristiche proprie della materia pittorica - il burro appunto - tendono, in contrapposizioni sempre nuove di burro caldo a burro freddo, burro alle noci a burro alle erbe[3], a rappresentare la pulsione della materialità dell’uomo verso la non materialità, verso un’essenza pura dell’essere, verso uno spirito puro e incontrollabile, anche se perfettamente controllato.
Almeno, questo diceva lui.
A seguito della pubblicazione del Manifesto B. su "Le Mond"[4], al gruppo originale si unì l’architetto Astrato, che fino ad allora aveva cercato di conciliare le codificazioni di Le Courbusier riguardanti le case Dom-ino con le potenzialità dei mattoncini Lego[5]. Il fiotto di nuove idee immesse nel gruppo dall’architetto, portò da un lato al periodo più fecondo dello sperimentalismo azzoniano ma, d’altro canto, fu probabilmente l’evento che causò l’inizio di quel processo di decadimento degli ideali del movimento, conclusosi con la scissione del 1979.
Azzone ed Astrato tentarono di risolvere in un colpo solo il problema della fame nel mondo e della scarsezza di alloggi costruendo case in burro armato[6], ma non andarono mai oltre la fase metaprogettuale a causa della difficoltà di reperire grissini della lunghezza necessaria. Dopo questo vennero i tentativi di Unuco di creare un panino che riunisse in sé le nuove tendenze della ristorazione nostrana con la tradizione culinaria tedesca, ma purtroppo, l’unico esemplare di questo nuovo indirizzo di ricerca indicato da Unuco è andato perduto, mangiato dallo stesso Azzone che in un primo momento tentò di giustificare il suo gesto attribuendogli una serie di significati simbolici, ma che poi confessò la brutale realtà: faceva la fame.
Era questo l’inizio della fine, nella primavera del 1979.
Lo sperimentalismo incontrollato di Astrato e Azzone toccò il fondo nel luglio successivo quando, durante quella che doveva essere la consacrazione definitiva del movimento, ovvero la ormai tristemente nota mostra dedicata al B. dal bar ristorante della Galleria d’Arte Moderna di Roma, presentarono il frutto delle loro ultime ricerche: i progetti delle case Pan-ino, costruzioni composite di burro e pan-carrè. Fu in questa occasione che il critico G.C.Argan [7] ebbe a dire che - a suo avviso - il progetto avrebbe ricevuto miglior qualifica da un nome tipo "Cret-ino": non l’avesse mai fatto.
Astrato si avventò come una furia sull’illustre critico, tentando di chiuderlo in un posacenere ed era a un passo dal riuscire nel suo delittuoso intento quando fu afferrato da due inservienti e buttato fuori dal museo. Sconvolto, moriva poco dopo, travolto dal tram che proprio davanti al museo ha il suo capolinea.
Saputa la notizia, Unuco e Azzone abbandonarono la mostra e cercarono rifugio dal dolore provocatogli dalla morte del loro amico e collega, nella pace della loro casa[8], il cui interno era stato decorato con stupendi bassorilievi in burro[9]. Non avevano fatto i conti, però, con la torrida estate romana del 1979: appena oltrepassata la soglia, i due si trovarono a camminare in due dita di burro fuso: le loro opere. Dovettero rivedere tutte le loro teorie: in realtà l’arte burrealista non si scioglieva nei musei, dove un sapiente impianto di climatizzazione le manteneva perfette, ma nelle case dei privati.
A questa rivelazione Azzone ebbe una crisi mistica, pretese di essere chiamato Bernadette e da allora[10] nessuna opera è più uscita dalle sue mani. Unuco, invece, accecato dalla prospettiva del facile guadagno, tentò una manovra bassa e gretta: sostituì nelle sue opere[11] la margarina al burro. Azzone, in una conferenza stampa, dichiarò di aver rotto ogni legame con "…l’eccessivamente pragmatico Unuco.." e con il B., quindi scomparve e da allora di lui non si sa niente, anche se c’è chi afferma che, come Gaugin, si sia ritirato con una mucca su un’ isola deserta, alla ricerca di una forma di burro più genuina.
Unuco, ormai povero e senza una casa, prostituì la sua arte raggiungendo abissi negativi impensabili per un artista del suo peso. Dapprima tentò un aggancio ruffian-pubblicitario con un famoso caseificio e, rifiutato, tentò con ditte minori fino a che, per sbarcare il lunario, non fu costretto a decorare con mini bassorilievi pornografici stick di burro di cacao.
Ma, a parte questa fine ingloriosa, il valore di quanto precedentemente elaborato dai tre artisti non dev’essere misconosciuto: riunendo in sé istanze populistiche e umanitarie e risolvendole nel contesto di un’ arte di altissimo livello, il B. resta uno dei movimenti artistici di maggior rilievo.
Di tutti i tempi.
Note
- Nulla resta delle sue opere di quel periodo: sono state infatti distrutte tutte dall'Azzone, che in seguito tentò di giustificare come: "...un gesto di profondo e radicato disgusto per tutta l'attività artistica precedente..." il disperato tentativo di nascondere agli occhi del Mondo i trascorsi artistici dei suoi proseliti.
- La più famosa delle quali è, per univoco giudizio critico, "Giove che fagogita Pordenone", opera - questa - intrisa di profondi significati simbolici.
- Evidente anche qui il simbolismo delle scelte azzoniane.
- Di Cantù.
- Si dice che ciò che spinse Astrato a legarsi al B. fu la consapevolezza di aver fatto tante di quelle cazzate nella sua vita, che una in più o in meno non avrebbe potuto sputtanarlo ulteriormente.
- Burro fuso intorno a un'armatura di grissini.
- Che si trovava lì a fare colazione.
- Azzone era stato lasciato dalla moglie e Unuco era andato ad abitare con lui.
- Questo nel caso vi foste domandati perchè la moglie di Azzone se ne fosse andata...
- Anche perchè l'alimentari sotto casa non gli fa più credito.
- Giustificando il tutto con un anelito ad una maggiore accessibilità dell'arte alle masse, che così si sarebbero educate al Bello.