Nessuno, dopo l’ingloriosa fine del Burrealismo, si sarebbe aspettato che soltanto pochi mesi dopo la (tristemente) nota mostra burrealista alla Galleria d’Arte Moderna, proprio dalle sue ceneri ideologiche sarebbe sorto un nuovo, rivoluzionario movimento che avrebbe esteso la sua influenza ben oltre i seppur vasti confini delle arti pittoriche.
Iniziatore e teorico di questo movimento fu P.Acchiano (1956-viv.) che, nel 1980, su quello stesso Le Mond (di Cantù) che aveva ospitato anni addietro il primo Manifesto Burrealista, pubblicò il suo Manifesto Culista, nel quale espose chiaramente un nuovo tipo di approccio, sia nei confronti dell’arte, che delle tedesche in vacanza in Italia.
Questo accostamento, a prima vista anomalo, altro non è che la soluzione dialettica del problema dell’arte moderna secondo Acchiano, che, per sviluppare il proprio discorso, parte da tre presupposti fondamentali, cioè:
- l’Arte, e in particolare le arti figurative, sono finite: non hanno più nè uno scopo pubblico nè uno privato;
- l’artista, a seguito del punto precedente, spreca inutilmente il suo potenziale intellettivo;
- d’altra parte, l’unica soluzione ai molti problemi della civiltà moderna è senza dubbio l’Arte.
Apparentemente, queste tre tesi sono inconciliabili, sia fra di loro, sia con il successivo discorso riguardante le bionde tedesche, ma Acchiano, rivelando una genialità insospettabile (e insospettata), riesce là dove altri avrebbero fallito. Ritenendola più chiara di qualsiasi possibile esemplificazione, riportiamo parte del testo del suo Manifesto:
Insomma, il problema è questo: l’uomo della strada non segue l’Arte perchè non la capisce, quindi si annoia e ad essa preferisce di stare in casa a guardare le cosce delle ballerine alla tivù. (…) Ma se l’ artista riuscirà a stimolare la libido presente in ogni osservatore, otterrà di certo più attenzione, l’Arte subirà una rivalutazione e con lei l’artista che ci avrà per le mano il mezzo giusto per risolvere tutti i problemi dell’Umanità odierna. (…) Dovremo perciò impegnarci a rappresentare solo figure che possano essere di un certo stimolo per l’osservatore (…) e cosa c’è di meglio, in questo caso, di un culo?
Implicite, in questa precisa scelta anatomica, ci sono alcune delle caratteristiche del Mondo Futuro così come lo vedeva Acchiano: si auspica, con il rifiuto degli altri orifizi femminili, un ritorno alla ferinità, l’abbandono da parte della donna di tutte le conquiste realizzate nel campo dell’emancipazione per l’instaurazione di una nuova Era del Maschio.
Non più amore, orgasmi simultanei o rapporto di coppia, ma solo sesso
1, appagamento rustico, ma verace di ogni bisogno
2, soluzione forse semplicistica, ma decisa con cui Acchiano tenta di risolvere in un colpo solo tanto il problema dell’arte moderna che quello della sovrappopolazione.
E non solo: mentre qualunque altro teorico si sarebbe limitato ad indicare ai suoi seguaci la strada da seguire, Acchiano, con la seconda parte del suo Manifesto, li fornisce anche dei mezzi atti a procurarsi l’ispirazione necessaria per svolgere il loro compito di edificatori cul-turali.
Il Manifesto fece scalpore, si sentiva nell’aria che qualcosa stava per cambiare.
C’era, in ogni circolo culturale e in ogni galleria d’arte, un sentimento che accomunava gli animi mettendo a tacere le singole esigenze politico/cul-turali: dovunque la parola d’ordine era “culo”!
Culo! gridato a piena voce da una massa eterogenea di uomini e donne, artisti e non, che come per la venuta di un nuovo Messia, dopo anni di sfiducia e amarezza, avevano ritrovato la Fede.
Tutto questo grazie ad Acchiano e ai suoi seguaci fra cui ricordiamo Francesca (detta Checca) Cavapietre (1945-2040), I.G.Norante (1959-viv.) e, se vogliamo, perfino l’Unuco dell’ultima maniera.
Le prime raffigurazioni C. sono del 1981, ad opera della pittrice Cavapietre e quasi contemporanea è l’ uscita del primo libro C., opera del noto romanziere e occultista Paul Tergaist (1959-1981), che dopo la pubblicazione della sua opera Culo, convinto di non aver più nulla da dire si suicidò, lasciando una lettera d’addio di centosettantasei cartelle dattiloscritte.
Questa fase, che per convenienza (e con tutte le riserve applicabili a simili schematizzazioni) potremmo datare 1980/82, è detta del proto C., e in essa il tema del culo è trattato ancora senza decisione.
Permangono, nello stile rappresentativo degli artisti, le tracce dei loro stili precedenti, reminiscenze di maniere ben lontane da quello che sarà poi il C. al culmine della sua ascesa.
Si tratta comunque solo di una fase iniziale, che termina ben presto, lasciando il posto al C. detto anal-itico.
Gli stili si fanno più chiari e decisi, le influenze del passato sono assorbite e dialetticamente risolte in una raffigurazione di glutei sempre più curata.
Nasce il cul-lage.
È a questo punto che al gruppo iniziale si unisce un giovane che ben presto diventerà, con Acchiano, uno dei fari ideologici del movimento, ma che più tardi metterà in crisi il C., portando la storia dell’Arte ad una nuova e decisiva svolta.
Stiamo parlando del citato Norante, che nel 1983 si mette in mostra per la perfetta armonia dei suoi quadri e le cui grandi capacità tecniche gli permettono di saltare i due periodi del proto e dell’ anal-itico e di giun-gere, in anticipo perfino rispetto alle teorizzazioni di Acchiano, alla terza e più vera fase culista, detta del C. sintetico.
Mentre a Firenze Norante porta avanti la sua sperimentazione, nello stesso senso si muove Acchiano che, nella sua casa di Piombino Marittima (dove ha la possibilità di rimorchiare le tedesche in partenza per l’isola d’Elba) prepara il secondo Manifesto Culista.
Questo vedrà la luce sul Times (Di Orgosolo) il 17 Ottobre del 1984, data ormai famosa, cui si fa risalire l’inizio del periodo magico del C. sintetico.
Il momento è quello giusto: gli artisti e il pubblico, dopo il tirocinio rappresentato dalle due fasi precedenti, sono ormai maturi per il grande salto qualitativo: il culo si libera della sua mera materialità e assurge a simbolo di una nuova dimensione dell’Essere, l’uomo non più incatenato a vincoli di natura terrestre, signore e padrone del suo Universo, è libero di spaziare con la fantasia oltre ogni limite.
La critica si accorge di Norante che da morto di fame che era, si ritrova quasi da un giorno all’altro milionario, con i prezzi delle sue opere in continua ascesa.
Si compra una BMW che guida vestito della sola canottiera e di un paio di mutandoni azzurrini, unica eredità del nonno paterno.
Da Firenze, si trasferisce a Roma dove la sua produzione, dopo un primo periodo di stasi, rifiorisce, portandolo ad essere considerato da tutti come l’artista di punta del gruppo.
Anche la vita di Acchiano subisce una profonda mutazione: cambia casa e si trasferisce all’ Elba, dove può contare su di un flusso di tedesche pressocché costante, ma come sempre accade, poco tempo dopo il raggiungimento della popolarità qualunque gruppo si sfascia: è successo ai Beatles, succede anche ai Culisti.
Le prime avvisaglie della fine i più lungimiranti le ebbero quando Norante dipinse un culo di tre quarti invece che di fronte.
Interpellato al riguardo, Acchiano si disse stupefatto dell’inventiva del suo amico e seguace e, ignaro di ciò che ben presto sarebbe successo, affermò che il culo di tre quarti — come del resto qualunque mezzo atto a stimolare la libido dello spettatore — è pienamente C. e che in definitiva, dopo quattro anni di culi di fronte, un cambiamento non poteva che giovare.
La rotazione dei soggetti di Norante, però, non si arresta: lentamente quanto inesorabilmente la sua figura, quadro dopo quadro, gira su se stessa svelando dapprima qualche peluzzo, poi molti peli e infine, il 27 Gennaio del 1985, alla mostra dedicata al C. dal Playboy Club di Follonica, la verità viene a galla: il soggetto di Norante ha compiuto una rotazione di 180 gradi e mette in mostra un fallo di dimensioni equestri.
Per Acchiano è un colpo durissimo, ma con la decisione che caratterizza i grandi, in un attimo afferra e divora la tela di Norante e fugge poi a seppellire le relative feci in una sconosciuta località del Nord Alaska affinché nulla di essa giunga alla posterità.
A nulla vale il suo sacrificio: Checca Cavapietre ritorna sdegnata all’impressionismo mentre Norante fugge a Puka-Puka con il suo modello, un transessuale malgascio noto nell’ambiente come: “Brigida”.
L’interesse per il gruppo è zero, ma Acchiano cerca ancora di salvare la faccia teorizzando una nuova forma di attività artistica, la Poppart, ottenendo perlopiù pernacchie e insulti.
Sconsolato, si ritira a dipingere en pleine smog nella sua ritrovata Piombino, dalla quale non si è più spostato.
Note
1. “Cazzo e cazzotti!” era solito rispondere a chi gli domandasse come, secondo lui, ci si dovesse comportare con le donne.
2. Non mancò, com'è facile immaginare, una violenta opposizione femminista che tentò di opporre al C. un'arte clitoridea non meglio identificata.