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Avanguardie artistiche del Terzo Novecento

I Crostacei

Pochi, probabilmente, sono stati i movimenti artistici ininfluenti e sconosciuti come quello dei Crostacei. Secondo alcuni, questo è un fenomeno attribuibile al fatto che più che una corrente di pensiero coinvolgente diversi artisti, si trattò in fondo solo dell’azione di un singolo, estesa poi ai suoi figli, ma non è così. Non si può valutare l’importanza di un genere artistico unicamente in base al numero dei suoi seguaci o al loro certificato di nascita[1] e soprattutto è contrario alla nostra missione di critici mascherare con giustificazioni d’accatto l’inoppugnabile verità: è triste dirlo, ma la vera causa della scarsa fortuna del movimento dei C. è da ricercarsi unicamente nella diffidenza di certa critica del tempo - ancora scottata dalla brutta esperienza fatta con il Culismo - verso tutto ciò che non fosse sicuro e stagionato. Solo ora, a distanza di anni dalla morte del suo fondatore, G.Nocchio (1964-2011), si ritorna - o meglio - si comincia a parlare di quegli artisti che cercarono una nuova e più vera via nell’Arte negli anni che precedettero il terzo millennio.

Nato da genitori benestanti[2] e avviato per volere paterno allaprofessione di benzinaio, Nocchio scopre ben presto che gli idrocarburi non fanno per lui e dopo una violenta lite con il suo arcigno genitore[3], lascia la casa e gli studi per dedicarsi anima e corpo a quella che sente essere la sua vocazione più vera: vendere calzature. Solo, in un mondo ostile, con in tasca null’altro che i suoi pochi risparmi, raggiunge la piazza del mercato del suo paese e lì si imbarca come mozzo su un pulmino che vende olive e prodotti caseari. Non sono certo le scarpe sognate dal giovane Nocchio, ma rappresentano pur sempre un inizio.

È questa una tappa fondamentale della sua esistenza di artista, ma anche di uomo perchè proprio durante una fiera in un paesino della provincia di Ancona, Nocchio conosce quella che sarà poi la donna della sua vita, ovvero Sylvia Bitch, proprietaria di una porno-libreria ambulante chiamata "Sexspear & Co.". Attratto dalla forte personalità dalla donna, Nocchio lascia l’olivaro e si unisce a lei, abbandonando definitivamente ogni velleità ciabattina per dedicarsi a quella che sente essere la sua vocazione più vera: l’Arte.

Sennonché, questo è il termine con cui Sylvia definisce l’argomento di base della sua biblioteca e così, se da un punto di vista teorico, questi nuovi influssi produrranno in Nocchio un avvicinamento all’ideologia Culista (in quel periodo all’apice della sua fortuna), da un punto di vista pratico, il suo approccio a determinate tematiche lo porterà in breve tempo ad essere l’orgoglioso padre di cinque deliziosi frugoletti.

Le sopraggiunte responsabilità di capo famiglia placheranno i suoi ardori giovanili, temperando il suo sperimentalismo incontrollato[4] e lo indirizzeranno verso un nuovo tipo di arte, stavolta di carattere figurativo, che, affondando le sue radici nell’habitat stesso dell’artista, si sviluppa su suggestioni manieristiche. Nocchio attinge a piene mani dall’opera di alcuni Maestri del passato, scoperte ed ammirate sui banchi di quel pozzo di San Patrizio che sono i mercati di paese. Non più "La vecchia ubriaca" dell’ arte ellenistica quindi, bensì "Il vecchio ubriacone", ma lo spirito rimane lo stesso: si tratta in fondo di perpetuare un concetto di sublime bellezza, lungamente cercato e scoperto infine nei classici della tradizione iconografica popolare, di affrontare tematiche di alto contenuto umanistico (il dramma dell’etilismo, della solitudine, della terza età) risolvendole in un contesto stilistico che pur rifacendosi al passato, si pone a metà fra l’iperrealismo, l’impressionismo e l’onanismo.

Nel periodo che va dal 1986 ai primi anni ‘90, Nocchio produce solo tre opere: il succitato "Vecchio ubriacone", una "Natura morta con cacciagione" e Michelino, sesto arrivo della sua numerosissima famigliola. Del sottobosco simbolico del "Vecchio ubriacone" abbiamo già detto e non è il caso di aggiungere altro; differente invece, ma sempre chiaramente ricollegabile alla vena artistica del Nocchio, è la: "Natura morta con cacciagione, pure quella morta, sennò col cavolo che il fagiano e la pernice ci stavano lì, fermi a farsi fare il ritratto", che è datata 1989. Il noto critico C. Polla, ha voluto vedere in quest’opera un chiaro atto di accusa allo sport venatorio, definendolo "attività barbara, indegna di un popolo civile" e non è senza un certo dolore che ci accorgiamo di come spesso il giudizio critico di taluni venga influenzato negativamente da precedenti esperienze personali[5].

Non c’è accusa e non c’è fervore nella "Natura morta (ecc.)" ma solo quella sottile vena di compiacimento che è poi una delle caratteristiche principali dello stile di Nocchio ed è chiaro il perchè. La caccia è l’attività dei Padri, il mezzo primo di sostentamento dei nostri Avi ed è inevitabile che essa eserciti il suo fascino su un animo così legato alla tradizione e alla stabilità del passato come quello di Nocchio. Per avere un’ulteriore riprova di quanto siano errate le affermazioni del Polla, basta ricordare che nel quadro, oltre alla cacciagione, è riprodotta anche della frutta: arance, noci, mele ecc. È questo particolare a darci l’esatta misura dell’importanza dell’opera di Nocchio. Infatti, se la selvaggina riporta il pensiero alla caccia e quindi a un periodo della storia o preistoria sociale dell’uomo dove ogni giorno è foriero di incertezza e dove egli - uomo - è costretto a spostarsi di continuo, la frutta è il chiaro simbolo dell’agricoltura e quindi di una fase di vita associativa più evoluta e stabile, legata indissolubilmente a un singolo luogo geografico.

Terza e decisiva opera per il successivo sviluppo dell’artista, è il succitato Michelino. Il suo arrivo segna una svolta decisiva nella vita della famiglia Nocchio: l’abbandono della vita errabonda al seguito delle fiere di paese per una nuova esistenza, più stabile. È questa - da un lato - la chiara evoluzione di quell’anelito alla sicurezza evidente nella "Natura morta" e - d’altro canto - una necessità improrogabile, dato che a questo punto sono in otto e nel pulmino che ospita la biblioteca non c’entrano più[6].

Così Nocchio trova una casa, apre il negozio di calzature che sogna dalla giovinezza e si prepara ad affrontare insieme alla sua Sylvia una serena vecchiaia. Purtroppo, però, la stabilità e la sicurezza causano un impoverimento della sua vena creativa e da allora fino alla sua morte, non produrrà più nessuna opera. Solo negli ultimi anni della sua vita, anche in seguito ad un lento quanto meditato ritorno al cattolicesimo, si dedicherà alla modellazione di immagini sacre in plastilina fosforescente, opere queste principalmente di devozione e prive di qualunque valore artistico.

Nocchio muore, come si è detto, nel 2011, circondato dai suoi cari e dalle sue immagini votive[7]. I suoi figli, da allora, ne perpetuano l’opera pittorica, facendo di essa copie sempre più accurate che vendono poi nei mercati paesani allo scopo di diffondere nel mondo le idee propugnate dal loro genitore. Ad essi e non al padre, la critica ha attribuito il titolo di C., in chiaro riferimento alla qualità delle loro opere che in effetti è priva di qualsivoglia interesse artistico sia perché, contrariamente a quello che avveniva per Nocchio Padre, è solo un mero interesse economico a muovere i loro pennelli, sia perchè qualunque capacità artistica potessero avere i figli di Nocchio[8], essa è stata totalmente offuscata dai colpi in testa ricevuti durante l’infanzia.

Di Nocchio quindi e della sublime arte da lui generata non resta che un pallido ricordo tenuto in vita da due opere/capolavori e dalle copie che di essi hanno fatto i suoi figli, nonchè da una poesia giovanile che riportiamo di seguito:

Tu, tu
Tu, tu
Tu, tu
Tu, tu
Ma sei proprio tu
O è il tuo telefono occupato?

A chi desiderasse ulteriori notizie sulla vita e le opere dei figli di Nocchio, consigliamo "P.Nocchio", di C.Ollodi.

Note

  1. Specie poi se, come in questo caso, l'attaccamento alla famiglia è una delle linee guida della filosofia del Movimento.
  2. Il padre si vantava di non aver avuto mai nemmeno un raffreddore.
  3. Accusato da Nocchio di volere quel futuro per lui solo perchè aveva l'Alfetta che cominciava a entrare in riserva.
  4. Questa è la tesi più attendibile, anche se parte della critica attribuisce il tutto ad un periodo di impotenza seguito alla lettura di "Considerazioni sui dialoghi per la pace" di A. Fanfani.
  5. Il Polla, com'è noto, a causa della sua sorprendente rassomiglianza ad un facocero femmina, fu impallinato per errore mentre, durante un viaggio in Africa, cercava di recuperare il suoi Ray-Ban, cadutigli in un cespuglio.
  6. Michelino stesso, in seguito, racconterà di quel periodo quando lui ed i suoi fratelli si organizzavano alla meglio per dormire fra gli scaffali e ogni volta che i genitori facevano l'amore si registravano dai due ai cinque casi di commozione cerebrale, conseguenti a cadute di libri o ad urti contro la leva del freno a mano.
  7. Ne plasmò un totale di trecentosessantotto, tutte invendute.
  8. Come del resto qualunque altra forma di attività cerebrale evoluta.

04-06-1981