Virtual C@naro

Il concorso per il posto da Dio

La Poca Lisse

Alla Miglior Fabbra

Verrà fine del mondo, io lo so bene
Lo so perché lo vidi, quell’angelo saccente
Scendere su di noi, fra lucciole e falene
Avea sinistra grondante sangue vero
Stringea la destra una spada lucente
Disse:
«Ragazzi, me lo potevate dire che ‘sta cosa taglia, guarda come mi sono ridotto la mano!»

Verrà l’apocalisse, fu questa sua novella
Scrigno farà la Terra a vostri cari
L’annunceranno segni e carestie
Di sangue e pianto innalzeranno i mari
Solo un pensiero lenirà i rimasti:
Che sarà molto, ma mooolto più facile trovare un parcheggio in centro di sabato pomeriggio.

Un primo segno, lo sentimmo dire
Affratellati nell’apotropaico ufficio
Sarà l’ascesa di un figlio di Giamaica
Al Romano Sacro Soglio Pontificio
Tutti i fedeli in attesa rigioiranno
Quando vedranno del segnale il candore.
(E ancor più si rallegreranno, quando sapranno di quel fumo l’odore.)

Segno secondo sarà la persistenza
Sul volto della stella del mattino
Di avvisi con funzion pubblicitaria
Di cosce congelate di tacchino
Mentre Selene, notturna sua sorella
Avrà l’aspetto di ghiotta mortadella.
(In caso di luna nuova, al suo posto ci sarà un cartello con scritto: “Torno subito”.)

Non si farà ignorare il terzo segno
L’alato garantì con un sorriso
Sugli apparecchi ed i canali tutti
Atti a tecnologia televisiva
Preponderante apparirà l’avviso:
“Per chi non l’avesse capito, questa è la fine del mondo”.
(Le cassette porno, di contro, si muteranno in documentari sull’arte bulgara degli anni ‘60.)

Questi saranno i segni, egli allertò,
Sia l’intelletto vostro a ravvisarli incline
Ch’ anticiperanno ore di tregenda
Dolore e lutti e angoscia senza fine
Una per giorno caleran le piaghe
A cominciar dal dì votato a Marte
(ché tanto il lunedì è giornata infame indipendentemente da qualunque pestilenza).

Prima verrà un’epidemia di Gusto
Che priverà gli umani di ogni afflato
Per ciò che sia eccessivo, volgare o esagerato
E assocerà disprezzo e repulsione
Anche all’idea di un’opera la quale
Violi le leggi della discrezione.
(Com’è giusto, i primi a cadere saranno i rotocalchi rosa, gli stilisti di tendenza e i pubblicitari d’effetto.)

Si spanderà la piaga successiva
In ogni verso ed ogni direzione
Con sé portando come suo vessillo
La cupa bestia dell’Educazione
Nessuno potrà omettere il saluto
Prendendo posto dentro gli ascensori
Si chiederan le cose per piacere e si ringrazierà per i favori.

Ognuno poi darà all’altrui persona
Agio di esprimere le opinioni sue
E le rispetterà, pure se avverse
Come la precedenza, se all’incrocio ci si arriva in due.
Dei talk-show si avrà qui la giusta fine
E similmente della maggioranza
Dei vigili dell’Urbe e di coloro che mostreran di preferir la morte ad una vita priva d’ignoranza.

La terza punizion recherà seco
Gli spettri scarni di Obiettività e Coerenza
Che forzeranno con stridor di denti
All’armonia fra gli atti e l’eloquenza
Tanto nell’oggi come nel domani
Avendo in sommo sprezzo e ripugnanza
Lancio di pietre con oblio di mani, ipocrisia e futile lagnanza.

Come collaterale effetto poi si avrà
Di Autocoscienza Critica un fiorire
Che sia l’acquisto che il vestire impedirà
Di ciò che belli non ci fa apparire
E quei che inopinato acquisto tenteran lo stesso
Avran follia impedita dal commesso.
(Incontreranno qui la loro fine i telepredicatori, i veggenti e le forze sindacali.)

Ubbidienza Fiscale sarà il nome
Della maledizione susseguente
Che col veleno della Verità
Estinguerà ogni auspicio rimanente.
Riporteranno i conti anche le inezie
Nulla farà tacere un’ansia prorompente
Di adempiere ai doveri del buon contribuente.

Chiuder dovranno i ristoranti e i bar
Siti nei luoghi della villeggiatura
E collettive negli stadi si terranno
Auto da fé di chi, nei tempi andati,
Per cupidigia non vergò fattura
E di pentiti fiscalisti gli Harakiri. (Si uniranno a essi i pochi telepredicatori sopravvissuti in quanto realmente convinti di essere Dio.)

Quando la quinta piaga osserverà severa
Le umane genti ormai allo sfinimento
Con occhi ardenti di Civica Coscienza
Scosse saranno l’anime da fremito e tormento
E ognun si accorgerà di essere null’altro
Che parte di un insieme di individui
Con obblighi e doveri ben precisi.

Torme di assenteisti sciameranno
Come formiche ai posti di lavoro
E di vergogna e sfinimento periranno
Perché più tempo per redimersi non c’è.
I governanti subiranno sorte affine
A quella dei seguaci del cinese
Che preser parte al convegno di bSam Yas1.

Lungo le vie barche di carta correranno
Dentro rigagnoli di sangue maledetto
Che sgorga rigoglioso dalle gole
Di chi fu protettore oppur protetto.
Sul luogo del misfatto sozza schiatta
Ritornerà le colpe ad espiare
Il corpo a recipiente utilizzando per ciò che vi lasciò con mano sciatta.

Calerà notte, ma s’alzerà la fiamma:
In ogni cittadina o cittadella
Quei che per calcolo meschino o leggerezza
Han fatto di foreste carbonella
Riserveranno a sé stesso destino
Donando proprie ceneri alla brezza.
(In spazi appositamente adibiti allo scopo dai Vigili del Fuoco.)

L’ultima alba e l’ultimo dei giorni
Avran per figlio ciò che men si aspetta
E quando occhi cerchiati s’apriranno
Dopo una notte d’ansia e di terrore
Vedranno in veglia l’incubo peggiore
Inabili a fuggire alla sua stretta
Ora che son Grammatica e Sintassi a chiedere vendetta.

Cadranno a uno a uno e arderanno
Viari i cartelloni e di muraglia
Le insegne di bottega e le ordinanze
Di Sindaci e politiche alleanze.
DJ di radio e critici sportivi
Morran per mano armata di un commando
Di congiuntivi.

E chi lamenterà con l’Essere Superno:
«Io mai non venni meno a Leggi del Signore;
Dio mio, perché mi tratti adesso
come se sono un bieco peccatore?»
Avrà per questa frase ugual misura
Di chi le virgolette inglesi utilizzò
Con fine improprio di sottolineatura.

Or tacque l’angelo e osservò indagante
I volti nostri spenti e impalliditi
Finché una mano sorse interrogante:
«Oh tu, latore di tremende nuove,
Svela, ti prego, l’ultimo disegno
Di chi, pur proprie leggi provvedendo,
Per altri falli infiammerà di sdegno.»

«Forse le Leggi che Lui diede un tempo
Lasciano il passo a nuove e sconosciute?»
Sùbita voce si riunì al lamento:
«Non hai fatto menzione nel tuo canto
Di chi mentì, rubò o altrui fece del male;
Qual è il valore delle antiche Leggi,
Quale il guadagno nel serbarle care?»

L’angelo il volto volse allo stupore.
«Forse vi riferite agli undici consigli
Che il mio Signore diede anticamente
A un vostro capo ed alle genti sue
Per evitare del deserto i bui perigli?»
«Undici, angelo? Noi ne contiamo dieci.» «Se così è stato ei ve ne tacque uno.»

Chiedemmo dell’undecima legge il contenuto E del motivo che ne causò l’oblio «Quest’ultimo non so», disse il pennuto «Solo del testo posso riferire io. Esso chiudea sequenza e consigliava Di applicar sempre sospetto e diffidenza Con chi affermasse di parlar con Dio.»

Note

1. bSam yas si pronuncia Samié (fa rima, anche se non sembra) ed é il nome di una località dell'India dove, nell'VII secolo, si svolse un convegno fra due delegazioni di filosofi buddisti, una cinese e l'altra indiana, per derimere una controversia sulle modalità di raggiungimento dell'Illuminazione. Al termine del convegno i cinesi, sconfitti, commisero suicidio rituale: “chi tagliandosi a pezzi, chi recidendosi i genitali, chi bruciandosi” (Vijnanabhairava - Adelphi, Milano 1989).

03-01-1996