Martedì, 13 aprile 2004
Tentativi.
Ieri sera ho sviluppato e sperimentato sulla mia persona un metodo scientifico per intensificare la produzione di materia fecale.
L’ho chiamato “Metodo Bernacca”, per due ragioni: perché si basa sulla contrapposizione di masse calde e fredde tipica delle meteorologia, e perché fa rima.
La teoria del Metodo Bernacca è questa: si beve una tazza di liquido caldo e poi, in rapida successione, una quantità equivalente di liquido freddo.
La contrapposizione caldo-freddo genera dei moti convettivi all’interno dell’abomaso e funziona da stimolo per l’attività digestivo-evacuativa.
Tutte fregnacce.
La contrapposizione del brodo vegetale caldo all’acqua ruttarella fredda ha causato solo degli spasmi muscolari, che hanno funestato la mia passeggiata post-prandiale, facendomi temere conseguenze ben peggiori di quelle che poi si sono verificate.
Ad ogni modo.
La produzione odierna è stata regolare: colore nocciola; consistenza medio-alta (sto studiando un metodo scientifico per classificare in maniera non soggettiva questi parametri, per ora accettateli così); quantità discreta; olfattivo assente.
Mr. Barger ci ha raccontato oggi della sua battaglia più difficile, combattuta contro quello che inizialmente sembrava solo un brutto mal di gola…
Quando i medici mi asportarono le corde vocali, questo mi lasciò con un unico percorso diritto che arrivava sia allo stomaco che ai polmoni. Dovetti imparare da capo a mangiare. Dovetti imparare anche un metodo di comunicazione completamente nuovo. Mi aprirono un foro nella parte anteriore del collo, cucendomi al collo la trachea. Appena migliorai, tornarono a praticare un foro nel retro della trachea per inserire una valvola di ritegno nella parte anteriore dell’esofago. Quando metto un dito nel buco che ho nella gola, l’aria non può uscire, ma solo entrare attraverso la valvola. Poi faccio vibrare un muscolo, producendo così il suono che si sente quando parlo.
Mercoledì, 14 aprile 2004
Stamattina ho fatto un sogno strano.
Mi trovavo in una sala all’interno di una villa.
Era una sala piuttosto grande, illuminata da finestre affacciate su un bellissimo parco.
Nella stanza, insieme a me, c’era un’attrice; non era un’attrice di quelle famose, ma nel sogno sapevo che era un’attrice.
Sedevamo all’estremità di un lungo tavolo in noce e guardavamo dei filmati in un monitor appeso vicino al soffitto.
Probabilmente erano dei “giornalieri”, perché talvolta compariva lei, in abiti di scena.
Le immagini erano in bianco e nero, leggermente sbiadite e ricordavano vagamente la sigla di “Fuori orario”.
Non c’era audio.
In una delle sequenze, una luce sfocata, forse una candela, veniva oscurata di colpo dalla silhouette scura di una mano.
Questa immagine, in effetti inquietante, sembrava impressionare particolarmente l’attrice, così io le spiegavo che era un effetto intenzionale, simbolico, che serviva a far capire allo spettatore il repentino mutare delle sue (di lei) emozioni.
Nel contesto del sogno, questa spiegazione sembrava avere un senso e tranquillizzava l’attrice, che usciva dalla stanza.
Io la accompagnavo alla porta, poi mi rimettevo a sedere e (ri)cominciavo a leggere una sceneggiatura.
Nel monitor, le immagini mostravano alcune persone in abiti ottocenteschi, nel parterre di un ippodromo.
Erano due donne e un uomo; lui aveva i baffi e la tuba e guardava fisso in macchina, le donne gli camminavano a fianco, conversando fra loro.
In quel momento, e io sapevo che non era una cosa prevista dal copione, l’ombra scura di una mano oscurava l’immagine.
Ho aperto gli occhi di colpo, con la netta sensazione che quella fine così repentina fosse intenzionale, che fosse un sistema per causare il mio risveglio.
Questa sensazione era avvalorata dal fatto che, mentre nella prima sequenza la silhouette della mano era sbiadita come il resto dell’immagine, nella seconda sequenza, la mano era palesemente giustapposta alle immagini; una sorta di scopiazzatura mal riuscita il cui unico scopo era quello di farmi riprendere il mio stato di veglia.
Mentre mi preparavo il caffellatte, ho pensato a chi o cosa potesse volermi svegliare.
Il mio subconscio?
Lo spirito di mio nonno?
L’oscuro sceneggiatore della mia vita?
No.
Era il mio fegato, che protestava per la cena dal kebabbaro.