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Novelle

Del modo corretto di chiedere un caffè

da una fisima di Marzia Turcato

Gabriele non è un cattivo ragazzo: è solo sottoccupato.
Un paio d’anni fa si è laureato in Lettere con una tesi dal titolo: Elementi attuali nell’opera filologica di Costantino Arlìa (dice: Come fai, a saperlo? Non lo sapevo: gliel’ho chiesto questa mattina, quando l’ho visto) che gli è valsa financo la lode, ma, per vivere, fa il barista alla tavola calda sotto il mio ufficio.
Quando non è nervoso è una bravissima persona: gentile, educata e disponibile, ma se qualcosa lo innervosisce diventa intrattabile e, quel che è peggio, l’insoddisfazione che ristagna nel suo animo lo rende indisponente.

L’ultimo a farne le spese è stato il povero Mauro: un ragazzo piuttosto timido che lavora all’ufficio del personale e che, da diverso tempo, è innamorato di una collega tanto graziosa quanto insulsa, di nome Stefania.
Dopo mesi di corteggiamento crittografico (nel senso che non le ha mai palesato il suo interesse, ma si è limitato a sporadici quanto blandi complimenti e a languide occhiate, mai percepite dalla controparte), Mauro, lunedì mattina si è deciso a tentare il tutto per tutto e ha invitato Stefania a prendere un caffè.
Lei (mi hanno riferito persone presenti all’evento) ha dato un’occhiata distratta al suo microscopico orologio, poi, con l’indolenza che le è propria, ha risposto:
«Mmmsì, va bene..» e, senza nemmeno guardarlo in faccia, si è avviata verso l’ascensore.
Non fatico a immaginare quali siano stati i pensieri del povero Mauro mentre, con al fianco la sua amata, camminava verso il locale dall’altra parte della strada; fatico piuttosto a immaginare quale possa essere stata la conversazione fra i due: l’uno ammutolito dall’emozione, l’altra silente per mancanza di argomenti e per affettazione. In compenso, so per certo, cosa sia successo quando i piccioncini si sono approssimati al bancone del bar, perché è stato argomento di conversazione per tutta la giornata; Mauro, comprimendo il diaframma come un attore a un’audizione, si è rivolto verso Gabriele e ha detto:
«Volevo due caffè..»
La reazione del barista, però, non è stata quella che lui si aspettava: con aria seccata, ha poggiato lo strofinaccio con cui stava asciugando dei bicchieri e ha detto:
«E allora?».
Mauro, posso capirlo, è rimasto interdetto, ma l’altro non gli ha dato tempo di parlare:
«Voleva due caffè, bene: e che me lo dice a fare?»
Mauro, intimorito dal tono aggressivo dell’altro, pare abbia balbettato:
«In che senso?», al che, Gabriele gli si è parato di fronte e, con un gesto di insofferenza, ha commentato: «Volevo, è imperfetto e indica un evento che è avvenuto in un contesto temporalmente non definito. Lei voleva dei caffè, ma questo avveniva PRIMA, non si sa bene quando. Che lei me lo dica ADESSO è irrilevante» e, senza dare tempo all’altro di rispondere, si è girato ed è andato a servire un altro cliente.
Umiliato davanti a colei che, per dei brevi quanto dolcissimi istanti aveva immaginato potesse diventare la madre dei suoi figli, Mauro ha passato tutta la giornata di lunedì chiuso nel suo ufficio, rosso in viso e in preda a un terribile attacco di esprit d’escalier, ma l’indomani, dopo una notte di sonni agitati, si è ripresentato al bar, deciso a riscattare il suo onore. Paziente come un cobra, ha atteso in silenzio che l’antagonista guardasse nella sua direzione e, solo in quel momento, ha detto:
«Potrebbe farmi un caffè?».
«Certo che potrei,» ha risposto Gabriele. «Sono qui per questo e ho tutto ciò che occorre per effettuare un’infusione ad alta pressione di Coffea Arabica. La sua, però, non è una richiesta esplicita, perché ha utilizzato un verbo al condizionale presente, che indica un caso ipotetico, subordinato a una o più condizioni..»
Mercoledì mattina, Mauro si è presentato al bar in gran forma.
Grazie a dieci gocce di Lexotan, sottratte alla madre cardiopatica, era riuscito a farsi otto ore filate di sonno ed era riuscito a recuperare quel tanto di fiducia in sé stesso che bastava ad affrontare per la terza volta il suo persecutore. Per evitare ulteriori brutte figure, però, era arrivato in ufficio piuttosto presto ed era andato subito al bar, prima che si riempisse di colleghi. Il locale era praticamente vuoto: c’era solo Alberto, il proprietario della copisteria, che leggeva la Gazzetta dello Sport e sfidava il suo diabete ingurgitando una ciambella con la crema.
Gabriele era, come al solito, dietro al bancone, che vuotava il cestello della lavastoviglie.
Sotto lo sguardo preoccupato di Alice, la cassiera, Mauro si è avvicinato al bancone con lo stesso passo cadenzato di John Wayne in: Un dollaro d’onore, ha guardato distrattamente nel contenitore dei cornetti, poi si è girato verso Gabriele e ha chiesto:
«Mi fa un caffè?»
«No,» è stata la laconica risposta del laureato. «Non le sto facendo un caffè, mi pare evidente: sto vuotando la lavastoviglie. Glielo potrei fare fra qualche secondo: come le ho detto ieri, ho tutto il necessario, ma dato che lei ha utilizzato l’indicativo presente, che indica un azione in atto mentre si parla, sono costretto a risponderle di no.»
Giovedì, non è andata meglio: ormai timoroso, ma ben lungi dal volersi arrendere, Mauro è entrato nel bar alle nove e mezza del mattino (il piano che aveva elaborato nottetempo, per riuscire, aveva bisogno di un contesto frenetico e quella è una delle ore di maggior afflusso), si è aperto una via fra le persone davanti al bancone e, fingendo di avere fretta, ha detto:
«Un caffè, per favore!».
Gabriele, che stava servendo un cappuccino a una ragazza, sentendo ciò, si è voltato e, con aria seccata ha detto:
«Un caffè.. COSA?! che frase è, senza un verbo?!», poi, avvicinatosi a Mauro, ha aggiunto: «Ma lei, me lo sta facendo apposta? E’ dall’inizio della settimana, che, ogni giorno, viene qui e mi fa domande senza senso. Io non sono il suo zimbello, sono qui per lavorare e gradirei un minimo di rispetto..»
Quel pomeriggio, ci fu un Consiglio di Guerra nel mio ufficio.
Oltre a Mauro, erano presenti: Canio, della manutenzione, e Stefano, del reparto Spedizioni.
«Una volta, passi,» aveva detto Canio. «Ma quattro sono troppe. Qui non è più una questione fra Gabriele e Mauro, ma fra Gabriele e tutti noi: non possiamo lasciare che un barista ci faccia fare la figura dei cretini!..»
«Concordo,» aveva risposto Stefano. «A me dispiace che Gabriele non abbia trovato un lavoro adeguato alla sua qualifica, ma questo non gli dà il diritto di umiliare gli altri.»
Mauro non parlava: anche se Canio aveva detto «ci faccia fare», era chiaro che chi aveva fatto la figura del cretino, fino ad allora, era stato solo lui.
«Non lo sottovalutate,» avevo detto io. «Gabriele sa essere molto perfido, se vuole. Mi ricordo ancora una volta che, mentre stava fumando una sigaretta davanti al bar, un signore gli ha chiesto se per caso avesse da accendere. Sapete cosa ha risposto? che lui aveva da accendere, ma non per caso: l’accendino, lo aveva preso intenzionalmente.»
«E vabbe’, ma allora è stronzo!»
«Non è stronzo, Canio: è un frustrato,» avevo precisato io. «Ha studiato per degli anni e adesso passa il tempo dietro un bancone a preparare infusioni ad alta pressione di Coffea Arabica e a pulire bicchieri.»
«Forse dovrei lasciar perdere,» aveva mormorato Mauro. «Che senso ha, mettersi a discutere con lui?»
«Non se ne parla nemmeno,» aveva ribattuto Canio. «Come ho detto prima, a questo punto non è solo il tuo onore, in ballo, ma quello di tutto l’ufficio.»
«E cosa vorresti fare, puntargli una pistola alla testa e dirgli: Stronzo, fammi un caffè o ti sparo?»
«Be’, Stefano,» avevo detto io. «Fammi, è imperativo, potrebbe andar bene..»
«Sì, ma pistola alla tempia è penale. E comunque, tu ce l’hai, una pistola?»
«Io no,» avevo dovuto ammettere.
«Nemmeno io,» aveva precisato, ingenuamente pleonastico, Mauro.
Canio, senza parlare, si era avvicinato alla finestra e, guardando fuori, verso la porta del bar, due piani più in basso, aveva detto: «Siete completamente fuori strada. Non possiamo approfittarci del fatto che lui, giocoforza, è al nostro servizio: dobbiamo batterlo sul suo terreno. Sarebbero capaci tutti di andare lì domani mattina e dire: A Godzilla, fammi due caffè! ma che merito ci sarebbe? No, no: se vogliamo ristabilire il nostro buon nome, dobbiamo giocare al suo stesso gioco, e batterlo.»
«E come pensi di farlo?»
«Quello è un laureato, conosce la differenza fra trapassato remoto e trapassato prossimo..»
Canio ci aveva azzittiti con un rapido gesto della mano.
«Lasciate fare a me..»
L’indomani, venerdì, il locale era gremito di gente.
Si era sparsa la voce che ci sarebbe stato un nuovo match e tutti volevano vedere come sarebbe andata a finire, ma quando Canio e Mauro entrarono nel bar, intorno al bancone si creò il vuoto: nessuno voleva essere colpito da un congiuntivo vagante. Il chiacchierìccio, che fino a un attimo prima aveva soverchiato anche lo stridìo del macina-caffè si affievolì al punto che fu possibile sentire il rumore delle ventole dei banchi frigoriferi.
Mentre in un angolo, ignaro di tutto ciò, Alberto della copisteria affrettava la sua Fine con un krapfen, Canio Wayne e Mauro Martin si avvicinarono al bancone e, senza dire nulla, fissarono Gabriele a braccia conserte. Il barista, che aveva fatto finta di non notare il loro ingresso, adesso si voltò verso di loro.
«Buongiorno,» disse, senza nessuna benevolenza. I due non risposero e si limitarono a fissarlo. Gabriele prese una tazzina sporca dal bancone, la passò un attimo sotto l’acqua, poi, tenendo fisso lo sguardo su Canio e Mauro, la mise nel cestello della lavastoviglie. Canio e Mauro, rimasero in silenzio.
Seguirono attimi di profonda tensione. Perfino Alberto si accorse che c’era qualcosa di strano e alzò gli occhi dalle pagine rosa pallido del suo quotidiano.
«Allora?» tentò ancora il dottorino, ma non ebbe risposta.
Era chiaro che la cosa non sarebbe potuta andare avanti ancora a lungo: si aveva quasi la sensazione di sentire il sangue che pulsava sempre più impetuoso nelle vene del collo di tutti e tre.
Ancora pochi secondi di calma, poi Gabriele diede una manata sul bancone e disse:
«Ma insomma, cosa volete?!»
Al che, Canio, serafico:
«Due caffè, grazie.»
Passammo tutti un fantastico fine-settimana.

14-09-2012