Virtual C@naro

Carthago Dilecta Est 2007

The Land a Carthago

Alessandro il barista dice che rimorchiarle non è difficile. Alessandro il barista dice che basta offrigli da bere, poi te le porti a casa e ci fai quello che ti pare. “Nessuna inibizione, nessun problema,” dice Alessandro il barista. “L’importante è non essere gelosi.” Hammamet Yasmine è un mercato libero.

Rimetto la bottiglia di birra nel secchiello del ghiaccio e torno a sdraiarmi sul lettino. Sono sotto un ombrellone di paglia, in pantaloncini e maglietta e sto leggendo dei racconti di Hemingway. Tradotti male, devo trovarli in Inglese.

Il marinaio non va troppo per il sottile in fatto di valori letterari; per lui un libro vale l’altro.

Leggo, ma ho gli occhiali a specchio e ogni tanto ne approfitto per buttare un occhio alle due ragazze della prima fila di lettini. Carrie Bradshaw, la protagonista di Sex and the city, le definirebbe: Twenty-something, intorno ai vent’anni. Quella che sembra una russa è russa ed è la donna di Tiziano, il socio di Alessandro; l’altra è bruna e più scura di carnagione, credo sia tunisina. Hanno con loro un bambino che non sorride mai. È il figlio di una loro amica, e ha i suoi buoni motivi.

La mattina c’era un gran vento che soffiava e le onde si inseguivano altissime sulla spiaggia e lui era già sveglio da un sacco di tempo prima di ricordarsi che aveva il cuore spezzato.

Penso che dovrei scrivere di questi giorni. Il problema è che le cose che sono successe in questi giorni - quelle importanti, quelle che vale la pena - non le si può raccontare, perché scriverne significherebbe parlare bene di persone che non vogliono che si parli bene di loro e parlar male di persone di cui è inutile parlare, bene o male che sia. Scrivere di questi giorni, scriverne onestamente, significherebbe mettere a nudo la mia anima e quella dei miei compagni, e non so se sia il caso. Certo: potrei buttarla sull’aneddotico e descrivere la sensazione che si prova a veder tramontare il sole quando non c’è più terra in vista e il tuo mondo di diciotto metri per tre, così grande in porto, è incredibilmente piccolo in confronto a tutta quell’acqua che hai intorno. O raccontare, con prosa maschia e asciutta, il momento in cui ti svegliano, sono le quattro, comincia il tuo turno di guardia e tu bevi il tuo caffé, ti metti qualcosa per proteggerti dall’umidità, poi esci fuori ed è una notte bellissima, c’è la luna piena e si vede tutto intorno e dai una pacca sulla spalla al tuo amico, gli dici di andarsene a dormire e ti siedi dietro al verricello e prendi in mano la scotta del fiocco e, anche se sai che è superfluo, illumini la vela con la torcia elettrica per vedere se è regolata bene e, sì, è regolata bene e il vento è tiepido e non c’è bisogno di mettersi la cerata e quando quelli del turno dall’una alle quattro si sono addormentati senti solo il rumore dell’acqua sullo scafo e devi pensare solo alla vela e stai bene, ed era tanto che non succedeva, e speri che continui così per sempre e preghi che le sette non arrivino mai.
Ma non sarebbe onesto.
Per scrivere di questi giorni dovrei raccontare tutto quello che ho visto e ho fatto finta di non vedere; tutto quello che ho fatto, fingendo di non farlo. Dovrei dire quanto sia triste vedere un amico che non riesce a farsene una ragione, o di come una singola frase di un bambino possa costringerti a rivedere tutte le idee che ti sei fatto su suo padre. Di come la verità sia vaga e impermanente. E così l’amore.

Il vento portava via tutto, anche queste cose

La ragazza bruna ha un gran bel culo. Posso dirlo con buona certezza, perché sta distesa a pancia sotto sul lettino a pochi metri da me. Il sottile costume è seppellito nell’incavo fra le natiche, leggermente impanate di sabbia. Vien voglia di andare lì e spazzarla via con la mano. Prima, poco dopo che erano arrivate, le ho chiesto se aveva un accendino. Ce l’aveva. Quando ha visto che c’era troppo vento e non riuscivo ad accendere il sigaro, mi ha aiutato facendo scudo con le sue mani vicino alle mie. Acceso il sigaro, le ho restituito l’accendino, l’ho ringraziata e sono tornato al mio triclinio.
“Ha uno sguardo che ricorda quello della cantante delle Bangles.”
È tutto quello che sono riuscito a pensare.

Cars, bruns et teinz motz entrebesc,
Pensius pensanz

Inoltre, se la scrivo male, questa potrebbe sembrare una storia di uomini, nella quale le donne hanno solo un ruolo secondario, ma non è così. È la nostra barca che ha navigato per quattrocento miglia da Fiumicino ad Hammamet, ma la nostra barca non si è mossa da sola, è stato il vento che l’ha spinta. Allo stesso modo, le azioni dei personaggi di questa storia nascono tutte da una spinta invisibile, ma costante, generata dalle donne con cui dividono, o hanno diviso la loro vita. Se non ci fossero le donne, di questi giorni ci sarebbe ben poco da dire. Paradossalmente, visto che le donne ci sono, di questi giorni è consigliabile non dire nulla: meglio riportare solo i dati tecnici, le tattiche e le strategie, facendo finta che l’ordine di arrivo sia la cosa più importante. Ma non è così.
Sarebbe come far finta che i protagonisti dell’Iliade e dell’Odissea siano Paride, Menelao e Ulisse, in vece di Elena, Circe e Penelope. Sarebbe come dire che la ragione per cui guardo il mio telefono ogni dieci minuti è che sto aspettando la conferma di un lavoro.

Ch’eo non vorria da voi, donna, sembranza
se da lo cor non vi venisse amanza

Il mio amico mi fa cenno di raggiungerlo. È seduto nella sabbia, vicino al lettino della bruna. Quando arrivo lì, mi chiede di fargli da traduttore. Traduco. Traduco, ma la bruna non sembra particolarmente interessata. Risponde a monosillabi ed ha la tipica espressione infastidita di chi soffre di emorroidi. Se fossi più propenso alla superbia, prenderei in seria considerazione l’ipotesi che la bruna sia delusa perché sperava che fossi io ad abbordarla. Se fossi più propenso alla lascivia, prenderei in seria considerazione l’ipotesi di una “cosetta” a tre, come suggerito dal mio amico. Esaurito il campionario delle frasi standard per l’approccio in spiaggia (il mio amico brilla per caparbietà, non certo per fantasia), arriva il momento delle presentazioni.
“Lei si chiama Margherita,” dice il mio amico, indicando la bionda. “Lei invece, si chiama Natascia.”
“È russa?” gli chiedo, indicando la bruna.
“Sì.”
“E si chiama Natascia?”
Il mio amico annuisce. “Scusatemi,” dico.
Mi alzo e vado al bar.
Vediamo se hanno capito come si fa un Campari shakerato.

Rientro a Roma con una sensazione strana: sessanta ore per arrivare in un posto, poi basta un’ora di aereo per tornare indietro. Comunque: recupero la macchina, chiamo i miei. Mio fratello è arrivato questa mattina dalla Norvegia, mi aspettano per cena in un ristornate del quartiere Talenti. Il traffico sul Raccordo è tranquillo, alle 21:09 parcheggio davanti al Calice d’oro.
Quando mi vede arrivare, mio fratello canta: “Hammamet, Hammamet mucho”.
Io lo mando a fare in culo e gli tiro una maglietta della Carthago.
“Il prossimo anno vieni anche tu,” gli dico.
“Eh,” risponde lui. “Il prossimo anno non lo so…”
Non ci faccio nemmeno caso, vado a lavarmi le mani, poi mi siedo. Prendo il tovagliolo e scopro che sotto c’è una busta. “Fratello,” c’è scritto sopra. In cuor mio spero sia un assegno, ma non ci credo più di tanto. La apro. Dentro c’è scritto: “Zio”, e ci sono le fotocopie dell’ecografia.

Il mondo non è più lo stesso.

Note

La frase all’inizio è di R.H. Dana Jr., da Due anni a prora.
Le due citazioni sul vento sono tratte dai racconti Hemingway.
La frase che non si capisce è di Raimbaut d’Aurenga e vuol dire:

Parole preziose, scure e cupe, io intreccio, pensosamente pensoso

L’ultima frase è di Iacopo Lentini.

07-08-2007