Essendomi addormentato poco dopo le undici di sera ed essendo io abituato a dormire cinque, sei ore per notte, mi sveglio poco dopo l’alba. Tento di riaddormentarmi, ma senza successo: passata la tensione del giorno prima, il mio cervello non sembra riuscire a pensare ad altro che al raduno. Rimugino, recrimino, giustifico e sminuisco, ma niente potrà cambiare il fatto che non ci sono riuscito. Poco conta il fatto di essersi imbattuto in uno dei tre inverni più freddi del millennio, poco conta che, come me, centinaia di altri, magari con più esperienza, siano stati costretti al ritiro; poco conta, infine, il fatto che mi si sia rotta la moto facendomi perdere del tempo prezioso: non ce l’ho fatta. OK, non sono caduto, non mi sono fatto male e ho imparato un sacco di cose, ma non ce l’ho fatta. Analizzo gli errori fatti e quelli che ho visto fare e penso a come evitarli il prossimo anno; pavento alcune soluzioni tecnologiche e logistiche al problema del freddo e dell’infido fondo stradale e arrivo a una conclusione dolorosa, ma inevitabile: "Die Schwartzefrau" è un mezzo inadeguato a questo genere di viaggi. Diciotto anni sono tanti, anche per una BMW in cui la proporzione fra metallo e silicio è favorevole al primo. Per farla tornare affidabile dovrei smontarla tutta e sostituire ogni pezzo a rischio (cuscinetto del cardano, millerighe della frizione, tubi dei freni ecc.) anche se magari non si romperebbe mai: faccio prima a cambiare moto. Sì, ma che moto? Il K100 sarebbe l’ideale in termini di affidabilità, ma ha troppi cilindri per i miei gusti; la nuova serie R potrebbe essere una soluzione, ma mi preoccupa tutta quell’elettronica; di cambiare marca non se ne parla nemmeno… Ci vorrebbe una moto dell’ultima serie R a due valvole per cilindro, ma quelle, guarda caso, non se le vende nessuno…
Cerco di pensare ad altro e così mi tornano in mente tutte le persone che ho conosciuto durante questi giorni, la componente umana di questa avventura, sicuramente una delle voci in attivo nel bilancio, né ignorata né dimenticata, ma solo passata in secondo piano per le urgenze contingenti. Indipendentemente dal fatto che si tratti di nuovi amici che avrò il piacere di rincontrare o di persone che non rivedrò mai più, li ricorderò tutti e da tutti ho imparato qualcosa, nel bene o nel male.
Sono, in ordine di apparizione: DGK, "single per scelta", che colpito a tradimento dall’influenza, non è potuto partire, ma che mi ha iniziato al culto delle muffole paramano e che ha fatto da ponte telefonico fra me e il resto del gruppo; Mauro Elefante, di cui ho già detto; Elio, che non è tornato indietro; i fratelli Zomer, che si chiamavano sempre per nome anche se nell’officina c’erano solo loro due e da cui ho imparato molto, di moto e d’altro; le persone incontrate nella pizzeria di Ala, che non mi hanno fatto sentire solo al momento giusto; il gruppo dei toscani, che ha diviso con me vino e allegria e in particolare Mirko, veterano del raduno, che ha cercato di insegnarmi lo spirito dell’Elefantentreffen troppo presto perché lo potessi capire; i tre ragazzi di Bergamo, le cui bellissime moto ho il rimpianto di non aver fotografato e infine i miei compagni nel viaggio di ritorno, da me vilmente abbandonati per stanchezza.
A questo e ad altro penso, aspettando ad occhi chiusi un sonno che non verrà, nelle prime ore del 31 gennaio 1999, finché è abbastanza tardi per scendere a fare colazione. Per le dieci sono di nuovo in viaggio: il tempo è splendido, ma fa freddo e anche se mi sono messo addosso tutto quello che posso, mi devo fermare spesso a bere qualcosa di caldo perché la velocità mi ruba un sacco di calore. Non vedo altre moto né in autostrada, né nelle aree di servizio. Passo gli Appennini durante l’ora di pranzo per evitare il traffico e mi fermo a mangiare verso Arezzo. Poco dopo faccio una breve sosta per immortalare i 70.000 km della Signora Nera (l’allegria del momento è mitigata dal rimorso per quello che ho pensato poche ore prima) e poi via di nuovo verso casa, il più velocemente possibile, per non dover viaggiare col buio.
Arrivo a Roma verso le sei e mezza e siccome sono troppo stanco e infreddolito per guidare fino a casa mia decido di passare la notte dai miei, che abitano a meno di dieci chilometri dall’uscita della Roma-Firenze.
Quando sente la mia voce al citofono, mia madre tira un sospiro di sollievo che potrebbe gonfiarci uno Zodiac.
Io pure.
È finita.