Il giorno dopo mi sveglio più presto di quello che avrei voluto e, come prima cosa, guardo fuori dalla finestra il termometro di una pubblicità: -4º.
Andiamo bene..
Consumo la peggiore colazione della mia vita, quindi, senza grosso entusiasmo, mi avvio verso l’officina dei fratelli Zomer.
Qui le prime notizie che ricevo sono devastanti: come temevamo, il cuscinetto ha intaccato l’asse della ruota ed è stato necessario segare quest’ultimo per poter smontare il tutto. Come se si trattasse di un luccio da sei chili appena pescato, uno dei due fratelli Zomer mi porge i resti di quello che una volta era l’asse anteriore della mia moto e mi mostra la tacca scavata dal cuscinetto.
"In quarant’anni che riparo moto mai vista una roba simile!" afferma non senza una punta d’orgoglio per aver comunque vinto l’assale ribelle, poi, un attimo prima che io mi metta a piangere, mi dice le notizie buone: non solo hanno trovato i cuscinetti nuovi, ma l’asse anteriore di una BMW da loro riparata precedentemente, con un opportuno spessore, potrà sostituire egregiamente il mio.
Per farla breve, alle 10.47, con quasi un quarto d’ora di anticipo rispetto alle previsioni degli Zomer e due giorni rispetto alle mie, posso di nuovo tirare giù la moto dal cavalletto centrale e rimettermi in viaggio.
Mentre aspetto che il motore si scaldi, cerco di chiamare Elio per dargli la buona notizia, ma il suo cellulare risulta irraggiungibile. Questa difficoltà di comunicazione mi preoccupa un po’, specie perché, per una serie di circostanze, tutte le attrezzature logistiche (ad esclusione del sacco a pelo) sono sulle moto del gruppo che ora è da qualche parte fra me e la Germania e se non riesco a rintracciarli c’è il rischio che debba passare la notte di sabato in albergo.
Rientro in autostrada al casello successivo a quello da cui ero uscito il giorno prima e subito cominciano i problemi. La moto, sopra i 120, tende a perdere colpi e a rallentare come se ci fosse ancora qualche problema all’avantreno. In realtà si tratta solo del vento, ma io sono ancora in paranoia da cuscinetto e mi ci vorrà un lungo tratto in galleria (senza vento e, guarda caso, senza problemi) per capire che tutto va bene e che mi devo dare una calmata.
Propedeutico a questa rivelazione sarà l’incontro con un gruppo di motociclisti toscani che, fermi ad un autogrill, sta dando fondo alla seconda bottiglia di vino rosso e mi invita a dargli una mano. La loro dotazione motociclistica è quanto mai eterogenea: dalla Pan European perfettina e asettica alla Harley con elefante di peluche a mo’ di polena e balla di paglia al posto del passeggero. Proseguiamo insieme per un po’, poi io (che sono ancora in panico da cuscinetto) faccio una nuova sosta per verificare che i fratelli Zomer abbiano rimontato bene la ruota (in effetti un po’ decentrata rispetto alle ganasce dei freni) e li perdo. Li ritroverò più tardi al passo, dove arrivo dopo un tratto di strada che sul momento mi appare terribile, ma che mi troverò spesso a rimpiangere nei giorni successivi.
Li invito a bere qualcosa di caldo al bar del posto di frontiera e poi ci rimettiamo in marcia. Trovo inquietante il numero di moto che vedo tornare indietro nella carreggiata opposta, ma cerco di non farci caso.
Poco dopo raggiungiamo il casello del Brennero. Quando arriva il mio turno, tiro fuori dalla borsa da serbatoio il tagliando di ingresso e lo passo al casellante che mormora qualcosa del tipo "Ma qvante ore è stato in autostrada?". Sulle prime non ci faccio caso: sono stanco, infreddolito e preoccupato perché non sono ancora riuscito a contattare Elio, ma quando vedo formarsi sul display la cifra 65.000, capisco che c’è qualcosa che non va. Chiedo delucidazioni al casellante e lui mi risponde che è normale, visto che vengo da Roma. Perplesso, controllo meglio la borsa da serbatoio e mi accorgo che c’è un altro biglietto di ingresso, stavolta quello giusto. Cerco di spiegare al plantigrado nel gabbiotto che il giorno prima il suo collega deve avermi restituito per errore il biglietto con la ricevuta della carta di credito che ho usato per pagare, gli mostro il biglietto, mi offro di fargli vedere la ricevuta della carta di credito, quella dell’albergo in cui ho dormito e la fattura dei f ratelli Zomer, ma lui è inflessibile: "Qvesta mi ha dato e qvesta deve pagare.", asserisce dimostrando una volta di più quali dannosi effetti abbiano prodotto secoli di endogamia sulle popolazioni montane. Io non ho la forza di discutere, ma nemmeno la debolezza di cedere e gli propongo un patto: se lui mi fa pagare quello che devo realmente, io lo pago, se no facesse pure un verbale di mancato pagamento che gli giuro di non pagare nemmeno se dovesse costarmi la galera. Indovinate cosa ha scelto?..
Passato il casello, comincia la discesa e il gruppo si sgrana così che quando io mi fermo a fare benzina non ho modo di avvisarli e li perdo definitivamente. Fa -6º, nevica e c’è vento, ma la strada è abbastanza pulita e riesco ad arrivare a valle senza grossi problemi. Viaggio da solo anche se il traffico di moto sul ponte Europa è superiore a quello estivo (siamo scemi, ma siamo tanti!), perché mi sono accorto che dover tenere il passo di qualcun’ altro, indipendentemente dal fatto che vada più veloce o più lento di me, mi crea uno stato di stress aggiuntivo di cui non ho assolutamente bisogno. Comunque il paesaggio è fantastico, specie per uno poco abituato alla neve come me. In particolare, il trampolino di salto con gli sci, che mi appare completamente innevato poco prima di una galleria, è bellissimo e gli farei volentieri una foto se un TIR alle mie spalle non minacciasse la mia incolumità fisica. Un po’ prima di Innsbruck, tanto per movimentare un po’ il videogioco, ci sono dei lavori in corso, la strada si restringe (il TIR no) e di colpo, chissà perché, mi viene in mente il canalone della Morte Nera di Guerre Stellari, poi però tutto finisce e mi ritrovo in pianura, circondato perlopiù da alberi e neve e comincio a pensare a dove passerò la notte. Da un lato sono sicuro che Elio e gli altri non sono certamente più ad Innsbruck, quindi posso tranquillamente proseguire per un po’, dall’altro non voglio rischiare di finire per terra causa ghiaccio, stanchezza o entrambi, così devo fermarmi al massimo entro un ora. Dopo cinque minuti stabilisco che sia più prudente fermarsi al massimo entro mezz’ora. Dopo altri cinque minuti convengo che, indipendentemente dal tempo, posso fermarmi al primo paese carino che incontro. Alla fine cedo e mi concedo di uscire al primo paese dove ci siano buone probabilità di trovare un alloggio per la notte.
Insomma, esco a Jenbach, circa sessanta chilometri a nord di Innsbruck e qui per la prima volta mi trovo davanti una strada innevata. Sviluppo in questa occasione quello che poi sarà il mio stile di guida per buona parte del giorno successivo: mano destra imbalsamata sull’acceleratore, ben lontana dalla leva del freno; seconda marcia praticamente fissa anche per le partenze; manubrio come se fosse saldato; variazioni di traiettoria ottenute facendo pressione sul corrispondente poggiapiedi. Sfortunatamente, preso come sono da questioni legate alla sopravvivenza, non mi accorgo di aver sbagliato strada e di puntare diritto verso il Tirolo. O meglio, mi accorgo quasi subito dell’errore, ma non ho la possibilità di fare inversione finché non arrivo ad un tunnel dove, per fortuna, la neve non c’è. Faccio un’inversione a U che se mi becca la polizia mi crocifigge e poi, tottottottottotò, in seconda, a 2500 giri, arrivo sano e salvo a Jenbach, dove però devo rivedere il mio concetto di "strada innevata".
Come che sia, riesco a fermare la moto davanti a una pensione; scendo e vedo uno slittino poggiato davanti alla porta di ingresso. Non so perché, ma ho come l’impressione che la Vita mi stia pigliando in giro. Comunque c’è posto per la notte, domani vedremo.
Sistemata la moto sotto un balcone, torno in camera e mi tolgo di dosso i molteplici strati di vestimento che preservano il mio calore corporeo, poi tento una doccia, scoprendo con sgomento che non c’è acqua calda (tornerà poco dopo, ma sul momento mi terrorizza l’idea che quella sia l’acqua calda). Mi butto sul letto e cerco di fare il punto della situazione: sono a circa sessanta chilometri da Innsbruck e ad altrettanti dalla prima autostrada tedesca. Sta nevicando, quindi è impensabile di poter viaggiare sulle strade secondarie: dovrò arrivare a Rosenheim, poi decidere se andare a destra verso Monaco o a sinistra verso Salisburgo. In generale sarebbe meglio viaggiare sulle autostrade tedesche che su quelle austriache, vista la scarsa propensione di questo simpatico popolo (che mio nonno ha con troppo poco zelo cannoneggiato durante la Grande Guerra) a pulire la neve dal manto stradale, ma in ogni caso mi separano dal raduno poco più di trecento chilometri. La mia media in Italia è stata intorno ai cento chilometri all’ora: considerando il rallentamento dovuto alle condizioni climatiche, in cinque/sei ore potrei farcela. Se solo smettesse di nevicare..
Tento di dormire un po’ ma non ci riesco. Provo a chiamare Elio, ma sul visore del mio cellulare compare la scritta "Servizio non disponibile"; cerco di telefonare a qualcun’ altro aggiungendo prefissi nazionali e internazionali, con o senza zeri, ma il risultato che ottengo è sempre lo stesso. In compenso cancello per errore il numero di Elio, così adesso sono definitivamente solo.. In un ultimo tentativo spedisco un messaggio SMS e, con grande sollievo, dopo poco ricevo la risposta. Le mie comunicazioni con il resto del mondo da adesso fino al mio ritorno in Patria andranno avanti così: non è granché, ma a lmeno mi permette di far sapere a chi mi vuole bene che sono ancora vivo. In attesa che mi venga in mente qualcuno a cui far sapere che sono ancora vivo, scendo a prendere l’Attak dalla borsa degli attrezzi della moto (devo incollare il termometro che ho comprato un po’ prima del Brennero alla borsa da serbatoio in modo da poter vedere la temperatura anche quando guido) e, così facendo, scopro che nel frattempo sotto il balcone sono state parcheggiate altre due moto, dei custom finto militare targati Bergamo. Comincio a cercare i padroni delle moto (un po’ per avere delle informazioni sulla situazione, un po’ perché ho bisogno di parlare con qualcuno), ma loro sono più bravi e mi trovano per primi. Sediamo insieme nel ristorante accorpato alla pensione. I bergamaschi mi consigliano e io ordino un piatto che è l’antitesi della macrobiotica, nel frattempo si chiacchiera di moto e si beve birra.
Devo dire che il racconto delle loro disavventure ridimensiona notevolmente il mio disappunto per gli inconvenienti meccanici del giorno prima: adesso non ricordo con precisione, ma, arrotondando per difetto, fino ad allora avevano rotto in tutto almeno tre poggiapiedi, una pompa della benzina, una leva della frizione ed erano finiti per terra almeno una volta a testa. Arrivati a Jenbach il giorno prima dopo una notte trascorsa nello sgabuzzino di un’area di servizio dove erano rimasti bloccati dalla neve, avevano passato la giornata nell’officina di un meccanico aggiustando quello che potevano. Appena ripartiti, però, un nuovo guasto ad una delle loro Shadow 600 li aveva costretti a rientrare per riportare la moto in officina. L’avrebbero ripresa il giorno dopo ed erano intenzionati (più per mancanza di alternative che per altro) a rientrare in Italia. La serata si conclude con uno scambio di generi di conforto: io gli offro la mia frutta secca, loro mi offrono la loro grappa che purtroppo devo accettare in quantità inferiori a quanto mi farebbe piacere per non correre il rischio di dover guidare con il mal di testa (o peggio) il giorno dopo.