Mi sveglio un po’ prima delle 6.
Il mio libro è per terra e al posto del wrestling c’è una partita di biliardo fra uno svedese e un abitante del Lichtenstein: mi alzo e comincio a preparare i bagagli.
Appena possibile scendo a fare colazione a valuto gli itinerari possibili fino al Brennero.
La strada più breve è la A95 fino a Garmisch e poi 60 chilometri di statale; l’alternativa è ritornare indietro e scendere da Rosenheim: tutta autostrada, ma si allunga di circa 60 chilometri
Carico la moto, pago e parto che sono da poco passate le otto. La temperatura si è ulteriormente alzata, ma il tempo non accenna a migliorare e il vento non è calato di mezzo nodo.
Decido di andare sul sicuro e di fare l’autostrada: anche allungando e senza correre dovrei poter essere al Brennero per mezzogiorno.
Circumnavigo Monaco, beneficiando di tutte le angolazioni di vento possibili. Il traffico è abbastanza tranquillo, ma superiore alle mie aspettative: loro che possono, perché non se ne stanno a letto la domenica mattina? Come che sia, arrivo a Rosenheim e il vento, se Dio vuole, finisce. In compenso la temperatura si abbassa e comincia a piovere.
Guido molto lentamente (80 Km/h) e faccio la massima attenzione alla segnaletica stradale, anche se questo tratto di strada lo conosco già per averlo percorso di ritorno dalla Repubblica Ceca due anni fa e nel tentativo di raggiungere l’Elefantentreffen lo scorso anno.
Arrivato a Mariastein, scopro che le pessime condizioni metereologiche incontrate qui allora non erano un episodio, ma la norma: fa freddo, piove e c’è nebbia. Come se non bastasse, la visiera del mio casco ha preso ad appannarsi e per quanto faccia non riesco a tenerla pulita più di qualche minuto. Mi sta bene, così imparo a risparmiare sui caschi!
Lo strato superficiale del mio abbiliamento è zuppo e mi fermo a un area di servizio per cercare di dargli un’asciugata, ma il bagno è inspiegabilmente privo di phon. Per fortuna so, sulla scorta dell’esperienza accumulata lo scorso anno, che ce ne sono di bellissimi nell’ultima area di servizio prima di Innsbruck. Mi faccio coraggio e riparto: sono solo 19 chilometri.
Quando finalmente arrivo all’area di sosta, vedo parcheggiate delle altre moto, ma le ignoro: mi fiondo nel bagno e con metodica precisione, sfrutto i potenti getti di aria calda per riportare l’umidità di giacca e stivali a un livello accettabile. Asciugarli del tutto non ha senso (piove un po’ meno di prima, ma piove), ma non voglio farmi il Brennero zuppo.
Torno alla moto e cambio gli stivali con gli scarponi da neve che, però, hanno bisogno di essere ingrassati. Lo spaccio della stazione di servizio non ha grasso da scarponi, ma Nivea sì ed è meglio di niente.
Riparto e poco dopo imbocco l’autostrada per il Brennero.
Non piove e, poco prima di attaccare il salitone che mi riporterà in Italia, festeggio di 50.000 chilometri di Jungfrau.
Il passaggio del Brennero è meno traumatico dell’altr’anno, quantomeno ci sono dieci gradi in più di temperatura. Allo scopo di evitare spiacevoli incontri con lastre di ghiaccio, pedino subdolamente un paio di BMW con pilota e passeggero, mettendo le ruote dove le mettono loro.
Sul versante italiano riprende a piovere e la temperatura si abbassa un po’, ma la strada è pulita e l’unico fastido rimane l’appannamento della visiera.
Un po’ prima di Bolzano smette di piovere e io, come molti altri, mi fermo a un’area di servizio per darmi un’asciugata. Qui faccio conoscenza con i due equipaggi BMW, cui rendo piena confessione del mio subdolo comportamento sul Ponte Europa. Bevo un te’ caldo, mangio un boccone e mi avvio verso il bel tempo che si indovina alla fine della valle. Sono da poco passate le 13.
Da qui a Mantova il viaggio prosegue senza storia (se si sorvola su un coattissimo ingarellamento con un branco di Electra Glide e la sgradevole visione di una moto in fiamme a bordo strada dalle parti di Verona). Quando mi fermo a fare benzina, il tempo è bello e l’aria tiepida, ma comincio a risentire dello stress delle ultime ore. Tecnicamente potrei tornare a Roma prima dell’ora di cena, ma - mi chiedo - chi me lo fa fare?
Chiamo allora Zvanen, fratello braticolante e maestro nell’Arte e nella vita, cui chiedo e ottengo entusiastico alloggio nel suo studio di Bologna, dove arrivo che è buio.
Parcheggio la moto nel cortile dell’opificio dove si trova lo studio di Maestro Z., scarico le mie cose fra le sue statue, poi ci apparecchiamo te’ e pipe. Sto per cominciare il mio racconto quando squilla il telefono: è Max, ancora fra i monti, che chiede asilo per sé e per gli altri viandanti.
Restiamo d’accordo che li andremo a prendere all’uscita dell’autostrada (è meno complicato che spiegargli come raggiungere lo studio), poi prepariamo l’accampamento per la notte.
Un paio d’ore e il gruppo è di nuovo riunito.